La Torino Mini Maker Faire si sta avvicinando e per raccontare  obiettivi e ambizioni di questa edizione, dedichiamo questo post all’incontro con la Prof Levi, un punto di vista accademico ma decisamente sui generis sull’evoluzione del mondo maker italiano.

498x498 marinellalevi

Fabrizio Garda. Ciao Marinella, non vedevamo l’ora di parlare con te di maker e fablab. Tu hai visto nascere tutto questo quindi il tuo è un punto di vista fondamentale per raccontare questa storia, la sua evoluzione e il suo futuro. Un passo alla volta però: presentati e raccontaci chi sei.

Marinella Levi (a.k.a. Prof Levi). Io sono un ingegnere chimico e dei materiali e insegno praticamente da sempre al Politecnico di Milano. Di fatto ho due anime, da una parte insegno ingegneria dei materiali alla Scuola di Ingegneria, in particolare focalizzata sulla produzione e caratterizzazione dei materiali polimerici; dall’altra ho una lunga esperienza legata alla Scuola del Design di cui faccio parte integrante da molti anni ormai e dove insegno “Criteri di selezione dei materiali” per il corso di laurea magistrale di “Design and Engineering”, unico corso di laurea magistrale aperto sia a designer che ingegneri, sia allievi che docenti. Ultimo ma assolutamente non meno importante, ho fondato il +LAB, laboratorio sperimentale.

F.G. Fino a poco tempo fa era abbastanza raro per il mondo accademico avere rapporti con il mondo del making: come sei venuta in contatto con Fablab Torino e con il mondo dei maker in generale?

M.L. Il primo contatto è avvenuto grazie ad Enrico Bassi, mio ex studente del corso di Design and Engineering che nel 2011 partecipò al Centocinquantenario d’Italia alle Officine Grandi Riparazioni di Torino. Era proprio tutto all’inizio, l’incipit di una storia che è durata fino ad oggi e io c’ero: un po’ come una mamma, o quantomeno una zia, del movimento maker.

F.G. Avendo visto nascere da zero il mondo dei fablab italiani come definiresti l’evoluzione di questo mondo e dei maker che ne fanno parte?

M.L. Tutto è stato travolgente, anche nel senso stretto del termine, nel senso che ha travolto e continua a travolgere tutto quello che incontra al punto che è un illuso chi pensa che tutto questo possa essere solo temporaneo. Non penso che in futuro ci ritroveremo tutti a stampare oggetti in 3D però credo che il movimento dei maker sia destinato a lasciare un’impronta definitiva nel rapporto tra le persone e le cose.

La società è regolata da rapporti, che siano tra le persone e il mondo o tra persone e persone o ancora tra persone e oggetti. Questo rapporto con le cose ha un impatto gigantesco a livello sistemico perché per esistere, le cose vanno prodotte. Qualcuno deve lavorare per produrre, così se qualcuno cambia il modo di lavorare e produrre potrebbe potenzialmente essere in grado di cambiare molti paradigmi.

C’è un modello di società, fatto di lunghe filiere produttive, che deve fare i conti con una crisi in corso e che rischia di incappare negli stessi errori già commessi in passato. Non c’è più la fabbrica perché l’hanno chiusa, non c’è più il sindacato perché la fabbrica è stata chiusa, non c’è la più la tutela del lavoro e di conseguenza non c’è più il lavoro così come lo abbiamo concepito nell’ultimo secolo. Ma mentre c’è chi ripropone vecchi modelli, c’è anche chi prova a sperimentare nuovi sistemi che si distanziano da quelli precedenti, ormai obsoleti accorciando le filiere produttive per alcuni prodotti: questo è il caso del modello maker.

Le potenzialità sono quasi infinite: ad esempio oggi come oggi il maker evoluto se ha bisogno di un frigorifero, se lo costruisce pezzo per pezzo, anche perché i disegni può trovarli in rete. Quando il maker costruisce lo fa a basso costo, magari costruisce due o tre prototipi e li diffonde tra i suoi conoscenti. Poi il maker insegna a costruire il frigorifero e il secondo maker che ha appreso dal primo, con il tempo impara a costruirne uno, magari più piccolo, magari che consuma meno, andando avanti così in un circolo virtuoso in cui il know-how è condivisibile e tramandabile un pò come in passato avveniva per le conoscenze artigianali.

F.G. Da come lo descrivi sembra che il grande potenziale del movimento maker sia nelle sue similitudini con un grande laboratorio di ricerca e sviluppo dove chiunque mette del suo producendo cose che migliorano in un’evoluzione continua e aperta.

M.L. È proprio così, questo è travolgente! Il sistema è di fatto un laboratorio sotterraneo di ricerca e sviluppo dove ci si concentra su un nuovo modello da affiancare alla produzione in fabbrica che cerca delle opportunità nella ricerca aperta. Qual è l’opportunità del creare un’altra filiera produttiva? L’opportunità è che tanti si mettano a fare ricerca, forse meno strutturata ma dalle potenzialità illimitate. L’opportunità sta nella formazione e diffusione di una nuova consapevolezza tecnologica della produzione.

F.G. Sembra quasi che chiunque possa diventare un maker, ma quanto la tecnologia che permette di fare le cose di cui parli è democratica e permette al potenziale maker di diventarlo?

M.L. Sicuramente è più democratica ora di quanto non lo fosse in passato; esageratamente più democratica direi! Immaginando un democraticometro in cui il punto zero è dato dalle vecchie tecnologie oggi mi pare di poter dire che ci troviamo a un livello esageratamente più alto, e d’altra parte farei fatica a dire adesso qual è il punto più alto al quale potremo e dovremo tendere.

F.G. Di pari passo con la diffusione del movimento dei maker si è anche iniziato a parlare di una cultura maker. Uno degli obiettivi dell’edizione di quest’anno è dimostrare che non esiste una differenza sostanziale, né tantomeno una contrapposizione, tra la cultura maker e quella da cui proveniamo. Concordi o vedi le cose in modo diverso?

M.L. Secondo me dire che non c’è differenza non è del tutto corretto, può suonare quasi come una diminutio, quasi come se omologarsi alla cultura precedente potesse risultare un valore aggiunto.

Trovare le differenze e valorizzarle dovrebbe essere il nostro obbiettivo.

Non si tratta di essere contro qualcuno o qualcosa, ma si tratta di riconoscere le differenze nate dal confronto e portare nella cultura da cui proveniamo, ciò che di buono ha da offrire la cultura maker. Ad esempio il senso della consapevolezza tecnologica di cui parlavamo precedentemente è uno di quei valori che è si è andato progressivamente perdendo nella cultura precedente.

Un oggetto tecnologico è divenuto oggi una sorta di scatola nera il cui interno risulta per lo più misterioso fino a fare quasi paura all’utilizzatore medio, non tecnico. La consapevolezza tecnologica che avvicina le nuove generazioni alla possibilità di riappropriarsi delle tecnologia come strumento buono è per me un valore aggiunto. La relazione con le cose non è più scontata, non è passiva, diventa consapevole. Certo non tutti si costruiranno un telefono o un frigorifero, però saremo consapevoli e sicuramente più responsabili nei confronti dell’acquisizione e della produzione delle cose cambiando invariabilmente il nostro rapporto tra noi e l’ambiente. La cultura maker esiste ed è diversa perché si riappropria delle cose che fino ad oggi ci hanno resi succubi dello stesso sistema produttivo che ci li ha messi a disposizione.

F.G. Hai elencato potenzialità e punti di forza, secondo te quali sono le debolezze della cultura dei maker?

M.L. Dovete rischiare di più. Se proprio devo farvi una affettuosa osservazione, mi sento di dire che ogni tanto voi maker vi bastate e vi piacete un po’ troppo.

Sapete di essere sulla cresta dell’onda e di essere al centro di un dibattito acceso e interessante, però questo non può bastare; ci vuole più coraggio per proporre obbiettivi più alti per fare davvero la differenza.

La tecnologia che avete e che dovete reclamare mette a disposizione possibilità incredibili: è la medicina che può salvare le vite, è la chimica che può aiutare a far crescere il raccolto e portare del cibo la dove ce n’è bisogno. Esiste una bontà intrinseca nella tecnologia e voi avete la possibilità di reclamarla. Io scommetto sulla consapevolezza tecnologica e sulla possibilità che ha l’approccio maker di cambiare davvero le cose a livello di rapporti e relazioni.

%d bloggers like this: