Con la Torino Mini Maker Faire di quest’anno abbiamo deciso di produrre un evento piu’ corale, che fosse in grado di contenere al suo interno molte anime: una di queste é il commercio, il proporsi al pubblico e lla produzione. E’ caso di San Salvario Emporium: una corda tesa tra mercato, fiera, luogo di incontro, spazio per concerti live e molto altro. Abbiamo prodotto una piccola intervista che mi é servita ad inquadrare meglio l’evento, anche in un ottica piu’ europea.

DG: Come nasce l’Associazione San Salvario Emporium, che ci porta alla domanda: da dove nasce la necessità di aggregare queste persone?

SSE: San Salvario Emporium nasce naturalmente nell’evoluzione del quartiere, una zona che tradizionalmente ospita piccole botteghe e attività artigianali su strada a cui negli ultimi anni si sono aggiunti studi di design, di architettura, co-working, quindi ecco l’idea di creare un grande momento aggregativo che fosse allo stesso tempo la vetrina di questa nuova era.

Allo stesso tempo nasce da un’analisi degli eventi fieristici torinesi, pensando che mancasse qualcosa che si ponesse tra il Balon ed Operae, quindi più appuntamenti nell’anno rivolti a tutto quell’universo di makers, designers, artigiani o più semplicemente creativi all’inizio della propria attività.

DG: Non avevano altri spazi di confronto?

SSE: Sì e molti, sono gli altri market in giro per l’Italia. All’inizio non li conoscevamo se non pochi esempi, i nostri riferimenti erano più all’estero: Mauerpark, Brick Lane (principale riferimento)   sansa02 DG: In che modo vi relazionate al vostro quartiere?

SSE: Ovviamente buona parte del nostro pubblico vive nel quartiere, così come alcuni degli espositori lavorano qui. Per aumentare la ricaduta sulla zona coinvolgiamo gli esercenti sia direttamente (food corner) che indirettamente (attività collaterali nelle vie adiacenti). Inoltre cerchiamo di intensificare la collaborazione con le associazioni locali, ospitando o creando insieme attività e micro iniziative in concomitanza: per esempio l’Agenzia di Sviluppo del quartiere di San Salvario, o l’Associazione Commercianti del Quartiere o l’associazione Viva Baretti e l’Associazione ManaManà., Lombroso16 o Il Festival del Bagnetto Verde.

DG: Esiste un mercatino europeo nei confronti dei quali vi ispirate? Come varia, secondo voi, l’esperienza di vendita diretta di monili/progetti/design autoprodotto in giro per l’europa? Si può parlare di un’esperienza mediterranea vs esperienza mitteleuropea?

SSE: Non saprei, direi che esperienze europee esistono ma sono terreni molto più “liberi”: un evento di riferimento soprattutto pensando ai suoi albori ma ora sviluppato in maniera completamente differente è sicuramente il Bread & Butter: nata come fiera dell’urban wear di piccoli brand indipendenti, oggi è un evento del calendario della moda in cui i buyers vanno a conoscere ed acquistare (recentemente é stato comprato da Zalando)

DG: In che modo le macchine di prototipazione rapida possono influenzare di questi designers? Secondo te é opportuno chiamarli tali? C’é il pericolo che gli oggetti si assomiglino molto?

SSE: In molti casi lo fanno già, in altri casi sono comunque una tecnologia che affascina e che sempre di più viene utilizzata nelle proprie produzioni anche da profani, ovvero senza una conoscenza diretta del software e dell’hardware ma come strumento/service di produzione.

Si possono chiamare designers, anche se la categoria non esaurisce l’intero “universo emporium”. Molti lo sono per formazione, altri sono artigiani più classici nella produzione, ma con un’attenzione all’estetica contemporanea che è ben visibile anche nei prodotti più classici (falegnami e ceramisti). Non credo che si corra questo rischio (la standardizzazione), soprattutto perchè in ogni oggetto si sommano estetica e tecniche di produzione molto differenti.

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DG: Chi sono i vostri utenti (i venditori)? Chi sono i profili dei vostri clienti?

SSE: Designers per formazione (nei vari ambiti, principalmente grafica e industrial) e architetti i quali si sono resi conto che molto spesso produrre una propria collezione è più soddisfacente (sia economicamente che personalmente) che lavorare su progetti magari più grandi ma legati ad aziende/studi che non danno alcuna sicurezza economica e curriculum professionale. Artigiani più tradizionali (occupati nell’impresa di famiglia) che sentono l’esigenza di esprimersi su progetti più personali, su prodotti che rappresentino di più la loro generazione: penso ai molti falegnami che producono tavole da skateboard o gioielli: i materiali se li trovano direttamente in bottega, sian scarti della produzione principale o residui di magazzino. Il lato utenza é molto variegato. Una parte sensibile (15-20%) sono a loro volta professionisti (designers, architteti, ma anche avvocati, professionisti in genere), lavoratori dipendenti in vari ambiti (molti insegnanti), un pubblico prevalentemente femminile (siamo alla disperata ricerca di produttori di abiti da uomo). Età media 30-45, non é particolarmente bassa. E’ scesa recentemente perché nelle ultime volte abbiamo fatto il questionario solo online.

DG: Perché ha senso condividere spazi ed idee con il Fablab Torino, all’interno della Mini Maker Faire?

SSE: Uno degli aspetti importanti di San Salvario Emporium è la collaborazione e il confronto con gli espositori. Partecipare ad un format fieristico più rivolto ad un ambito specifico (il maker) sicuramente può ulteriormente stimolare i nostri espositori, fargli conoscere un metodo che “sfiorano” e fagli vivere l’evoluzione tecnologica come un supporto e non un limite alla propria produzione

DG: Che tipo di supporto vorreste vedere dalle istituzioni? Quali supporti esistono già?

SSE: L’istituzione ha un ruolo fondamentale dal punto di vista normativo, deve innanzitutto cogliere le specificità di quello che possiamo definire come nuovo artigianato e creare delle facilitazioni soprattutto dal punto di vista amministrativo e burocratico. Pensare a creare seriamente delle licenze di vendita temporanee che permettano lo sviluppo del temporary shop e delle specifiche figure giuridiche più snelle dell’artigiano classico.

L’altro aspetto riguarda i servizi offerti a noi inquanto organizzatori dell’evento: pur parlando due lingue simili (diciamo due dialetti con la stessa radice linguistica), tendiamo ad puntare ad obiettivi differenti su un evento come San Salvario Emporium: una fiera per noi, un evento aggregativo che stimola la vita diurna di un quartiere che rischia la desertificazione commerciale durante il giorno.

Individuare dei punti d’incontro potrebbe far risparmiare tempo e denaro da entrambe le parti: portare a sistema i nostri eventi in un piano programmatico di incentivo del commercio diurno (delibera di giunta o del consiglio comunale) potrebbe permetterci di avere alcune garanzie rispetto al suolo pubblico (utilizzo e costo), alla chiusura al traffico e alla durata della manifestazione (magari sviluppando alcuni appuntamenti su più giorni), senza necessariamente passare attraverso il dedalo della burocrazia (suolo pubblico, suap, rumore, conferenza dei servizi ecc) che abitualmente richiede molte (troppe) ore che potrebbero essere dedicate alla crescita del mercato.

Il riconoscimento della validità di San Salvario Emporium potrebbe valere anche una riduzione di costi quali il suolo pubblico e le utenze, ricavo irrisorio per l’Amministrazione locale, piuttosto incentivandoci a sviluppare le attività parallele al mercato sul quartiere.

DG: Cosa portate alla Mini Maker Faire?

SSE: Un modello di fiera che va in una direzione molto simile, niente di più. Una shopping experience che va oltre il semplice acquisto di un prodotto ma invoglia alla conoscenza di ciò che sta dietro: l’esperienza del produttore e la memoria dell’oggetto, sicuramente valori aggiunti del prodotto finale.

 

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